Oltre trecento famiglie in Siena si sono denominate Bargagli; altrettante sono sparse nella zona dell'Amiata e nel suo circondario. Alcune sono a Pisa e Livorno nonché Pontremoli e paesi minori della Toscana.
Attualmente in tutta la penisola italiana ce ne sono solo centosettantacinque.
In Liguria esiste un paese, a levante e nell’entroterra rispetto a Genova, chiamato Bargagli in un territorio chiamato Bargaglio. L’etimo della parola origina, probabilmente, da Bargali, anche se nel secolo XII troviamo frequentemente la variante, Bergagi, che riflette la dizione locale, con l’esito genovese g del gruppo li di Bergalli, ovvero i montanari, dalla base ligure preromana Bergo, (Monte), fissatosi nella forma dell’ablativo plurale Bergallis.
Un capitolo importante nella storia del Bargaglio, è quello che riguarda la ormai millenaria presenza di originari di Bargagli, comune del territorio, nella città e nella provincia senese con allargamenti a quasi tutto il territorio attuale della Toscana. È una storia poco nota agli stessi studiosi liguri e che invece ha appassionato molto alcuni giovani ricercatori toscani, incuriositi da questo atipico cognome che usciva dalle tradizionali regole toponomastiche toscane. A Siena esiste nella toponomastica la via Bargagli, così a Firenze e così a Roma. Non esiste, però, nello stradario della capitale della già Serenissima Repubblica di Genova. I Bargagli, le genti del Bargaglio, del Genovesato, hanno dato molto alla storia e alla vita sociale e culturale della Toscana ed in particolare di Siena. Erano foresti del X secolo d.C. che piano, piano riuscirono ad inserirsi pienamente nella vita e nelle vicissitudini toscane del tempo. Indicati come métici quei di Bargagli, i Bargagli, con l'andar dei secoli divennero i benemeriti cittadini Bargagli, i maggiorenti Bargagli, sino ad i nobili Bargagli.
Ma qui conviene iniziar la storia…
Sin dall'epoca carolingia, i fatti più importanti per il Genovesato riguardarono la lotta contro i Mori o Saraceni che con il successivo avvento dell'impero longobardo coinvolsero spesso Genova come unico baluardo in grado di resistere a questi popoli dell'antica Mauritania che avevano posto forti capisaldi in Sardegna, Corsica ed addirittura ai limiti della antica Liguria marittima.
Che Genova fosse rimasta l'unica città capace di dare forza e sicurezza nella lotta contro i Saraceni lo dimostra il continuo traslare di molte reliquie sacre e corpi di Santi, in quell'epoca, dalle regioni limitrofe alla Liguria e dalle Isole. Per dare un'idea del pericolo Saraceno riteniamo doveroso fare un passo a ritroso per citare le spedizioni di Carlo Magno e Pipino contro i covi Saraceni in Sardegna ed in Corsica: 806, con il conte Ademaro; 807, con il conestabile Burcardo. Ma il flagello Saraceno non cessava. Si mossero allora anche i Pisani mandando Bonifacio conte di Lucca contro i Saraceni annidati in Sardegna. L'azione di Bonifacio fu vittoriosa specie negli anni dall' 824 al 841 tanto che i Saraceni spostarono la loro sede maggiore a ridosso di Marsiglia dopo aver reso inoffensiva quest'ultima città. Lo stesso litorale Ligure stava cambiando; le distruzioni saracene fecero sparire in pratica le località romane di Hasta (Prà), alle porte di Genova, di Alba Docilia (Albissola), Albingaunum (Albenga), Albintemelium (Ventimiglia) nonché Vado Sabatia (Vado) sotto le incursioni dai loro covi provenzali, così l'antica Segesta Tigulliorum (Sestri Levante) e la Tigullias Intus (Lavagna) con attacchi dalla parte levantina. Fu l'inizio dell'abbandono dei borghi marini per andare poi a creare tanti piccoli borghi arroccati sulle montagne creando autentiche leggende su questi corsari e predatori che li fecero ricordare solo per la loro ferocia per tanti secoli. Dopo la caduta di Marsiglia, Genova restò in pratica l'unica città in grado di opporsi ai Saraceni e di poter garantire l'imbarco delle spedizioni carolingie prima e longobarde dopo contro i covi dei pirati. Questo sino al 935 d.C. quando i Saraceni vollero chiudere la partita e attaccarono Genova sorprendendola e mettendola a sacco. L'attaccarono dalla foce del Bisagno e penetrarono in essa lungo tutta la distesa di borghi sorti sotto l'antico oppìdum scendendo sulla Ripa e saccheggiando persino i luoghi di San Siro, cattedrale genovese posta fuori dalle mura. Lungo il Bisagno le barche saracene raggiunsero quasi l'antica Molassana. Per lunghi giorni Genova fu in balia dei Saraceni. Questi ultimi, fermati dalla cerchia muraria costruita centotrenta anni prima, scorrazzarono attorno ad essa saccheggiando case e chiese e facendo centinaia di prigionieri da portare in schiavitù come era reciproca usanza di allora.
Dalla piana del Bisagno molti fuggirono verso i monti, e quindi verso il Bargaglio, ove si sapeva poter trovare almeno una strada per allontanarsi con più sicurezza dagli invasori. La stessa strada che molti abitanti fuori dalle mura avevano percorso in senso opposto per raggiungere Genova ed iniziare una loro attività agricola o commerciale. La Via Patrania.
Nella piana del Bisagno, da decenni, erano numerosi i lucchesi; coltivavano la terra e lavoravano la lana. E frequenti erano i loro contatti con il Bargaglio che in pratica sommava queste attività tra le sue maggiori mansioni. Ed i lucchesi in fuga giunsero a Bargagli dando l'allarme e facendo sapere che per la medesima via attraverso la quale erano giunti a Genova ora, spaventati, volevano ritornare a Lucca. I racconti dei lucchesi convinsero molti bargaglini ad intraprendere il viaggio con questi, verso la Toscana, convinti che - questa volta - i terribili Saraceni sarebbero arrivati anche nel Bargaglio e confortati dal fatto che i loro compagni di fuga e d'avventura erano in pratica coloro che da decenni condividevano i loro commerci e la loro vita di métici alle porte di Genova.
La carovana si avviò sull'antica strada romana: i crinali del Trebbia, le forre dell'Aveto verso il passo della Cisa e la Garfagnana. Una strada da tanti già percorsa per ragioni di traffici o emigrazione. Ma non sapevano che proprio in Garfagnana, sotto Luni, i Saraceni avevano un'altra base per le loro scorrerie. Non sono purtroppo documentabili le vicissitudini di questa carovana come è invece documentabile la fine, qualche decennio dopo, dell'antica Luni ad opera dei Saraceni. Di certo il cammino sulla Garfagnana proseguì quando si scoperse la presenza saracena nelle zone vicine al mare. Forse i Lucchesi riuscirono a raggiungere la loro città ma sicuramente alcuni bargaglini continuarono la fuga, sempre lungo itinerari commerciali. Sino a che non giunsero alle porte di Siena retta allora dai Franchi.
E Siena risultò città sicura. Sotto quelle mura trovarono ospitalità come forestieri quei di Bargagli.
Ai bargaglini non mancò certo il lavoro: oltre l'agricoltura, la lavorazione della lana e quella della seta da tempo esercitata nel Bargaglio, fecero sì che ai senesi non dispiacesse di avere alle porte questi forestieri. E piano, piano i bargaglini entrarono in città. Di certo pensarono anche ad un ritorno. Ma la distruzione di Luni (1015), come le tristi notizie di altre guerre in seguito, li convinsero ormai a riporre in pace nel loro cuore questo desiderio tanto più che le vicende senesi li coinvolsero appieno poiché in quell'epoca cittadini e forestieri che vivevano e lavoravano in una stessa città non avevano alcuna possibilità di rimanere neutrali nelle contese territoriali, anzi, erano obbligati a parteciparvi, o per l'una o per l'altra parte.
Era, dopotutto il prezzo dell'inserimento in voga anche nel Genovesato,
Così i Bargagli nel XII secolo si unirono ai consoli di Siena per aiutare il Vescovo a detronizzare la contea dei Franchi. Si trovano pochi anni dopo, nel 1167, con il popolo senese sempre capeggiato dai consoli contro il Vescovo dopo un ventennio di lotte con la vicina Firenze. Il comportamento dei Bargagli fu tale che per decenni a seguire li videro meritare "sul campo" il diritto di cittadinanza in Siena; non solo, ma come era in uso in quell'epoca, ai Bargagli furono elargiti titoli anche nobiliari.
I Bargagli furono sempre di parte ghibellina. Le loro origini, le usanze mantenute negli anni li videro sempre, inoltre, dalla parte del popolo contro lo strapotere dei ricchi feudatarii anche quando gli stessi Bargagli potevano vantarsi di essere annoverati tra le famiglie più ricche di Siena. Si distinguevano, infatti, già con uno stemma di rosso a due fasce d’argento caricate da quindici rose, dell’uno nell’altro, disposte in quattro, quattro, quattro, due ed una. Inframmezzata alla storia di questa città in pace con Firenze nel 1235 e subito dopo, nel 1260, nuovamente ai ferri corti con i gigliati, con i fatti di Santa Petronilla e Montaperti e il trionfo dei ghibellini che nove anni dopo dovettero lasciare il posto ai guelfi dopo la batosta di Colle val d'Elsa, vi è tutta una storia che riguarda i Bargagli ormai divenuti Signori di Ciliano con tanto di castello perso e ripreso nel corso delle vicende solite implicanti guelfi e ghibellini e poi, dopo il 1355 con la nuova sommossa popolare che portò in Siena la Magistratura del Popolo, saldamente riconquistato e ricostruito e tenuto dalla nobile famiglia Bargagli sino al 1418 quando lo vendettero - ironia dei tempi - ad un'altra nobile famiglia, i Landucci, che però era di Firenze!
Da quella carovana partita dal Bargaglio circa trecento anni prima e composta da gente spaurita forte solo della propria fede e della propria volontà di lavorare, non era rimasto che un lontano ricordo ed una nuova comunità che gli archivi di Siena registrano fedelmente.
Giacomo di Lorenzo Bargagli, fu Castellano di Ciliano dal 1300.
Ugolino di Ventura Bargagli membro della Magistratura dei Signori Nove che governava Siena nel 1302 per la prima volta e che diede ai registri il primo nome dei Bargagli ripetuto nei secoli decine e decine di volte.
Lorenzo di Lolo Bargagli Priore dei Signore Nove della città di Siena nel 1347 quando entrò a Siena l'Imperatore Carlo IV, lo fu nuovamente nel 1350.
Galgano di Lolo Bargagli, fratello di Lorenzo, che già lo troviamo insediato nella Suprema Magistratura civica nel 1347, fu Rettore dello Spedale di Santa Maria della Scala e provvisorio ambasciatore nel 1354 per una Siena richiedente l'aiuto dei Malatesta. Galgano resse il rettorato senese dal 1361 al 1374.
Lorenzo di Tura Bargagli fu Priore dei Signore Nove della città di Siena nel 1354.
Niccolò Bargagli fu Governatore di Cortona nel 1381.
Minuccio di Tura Bargagli Camarlengo del Comune di Siena nel 1368.
Lando di Minuccio Bargagli fu Provveditore di Biccherna nel 1397.
Dal secolo XV al XVII il nome dei nobili Bargagli è frequente nelle cose pubbliche di Siena.
Nel frattempo questo nome iniziò ad occupare anche le file della scienza e della cultura: Girolamo Bargagli trattatista e commediografo, ci riporta, come vedremo ai contatti con Genova. Scipione Bargagli fratello di Girolamo, di Celso Bargagli, che fu dottore in legge nel 1551, del quasi sconosciuto Claudio Bargagli e di un quinto fratello di cui non rimangono notizie. Giulio Bargagli, figlio di Scipione, anche lui scrittore e drammaturgo occupò la carica di Magistrato di Giustizia in Siena e andò, in seguito, anche lui, a Genova dove lo si registra Auditore di Rota alla fine del 1600.
Ma soffermiamoci, brevemente, sui fratelli Girolamo, Scipione, Celso e Claudio Bargagli, degni figli dello tempo suo.
Girolamo Bargagli nacque a Siena nel 1537 da Giulio e da Ortensia Ugurgieri. Il padre ricoprì diversi pubblici uffici negli anni immediatamente seguenti alla conquista fiorentina di Siena (1555). Nel 1557, entrò a far parte dell'Accademia degli Intronati, (anche se in quel primo momento era bandita pubblicamente dall’autorità granducale), dove ebbe l'appellativo di Materiale Intronato. Erano gli ultimi anni della guerra di Siena contro gli imperiali (1552-1559), e la vita culturale della città attraversava un periodo molto travagliato: proprio l'afflusso delle nuove generazioni, a partire dal 1560 in poi, permise una nuova, breve ma brillante fase di fervore accademico. A questo periodo è legata l'attività di Girolamo in qualità di poeta, commediografo e trattatista. Già nel 1563, infatti, egli lasciò gli studi di orientamento umanistico per dedicarsi all'insegnamento del diritto e alla carriera giuridica. Insegnò all'Università di Siena, dove figura come Lettore di Instituta per l'anno accademico 1563-1564. Fu quindi chiamato a Firenze come Giudice della Corte Civile della città, dove rimase fino al 1567, anno in cui rientrò in patria. Scarse sono le notizie che riguardano il periodo compreso tra il 1567 e il 1574, quando si recò a Genova per occupare il posto di auditore di Rota civile e di capitano di giustizia. Rientrato di nuovo in patria, non si sa in quale anno, attese alla professione di avvocato. Morì a Siena nel 1586, mentre si accingeva a ritornare a Genova per assumere l'incarico di Auditore di Rota criminale. A parte il Dialogo de' giuochi, il Bargagli lasciò una cinquantina di sonetti (in parte editi in raccolte varie, in parte inediti) di stampo petrarchesco e bembesco, alcuni legati strettamente, nei temi, alle vicende senesi dei primi anni di dominio mediceo, e una commedia di gusto patetico-avventuroso, la Pellegrina, edita postuma nel 1589, e rappresentata nella stessa data a Firenze, in occasione delle nozze di Ferdinando de' Medici con Cristina di Lorena, con l'accompagnamento di fastosi intermezzi dovuti all'estro di Bernardo Buontalenti.
Scipione Bargagli nacque a Siena nel 1540, secondo dei tre fratelli. Poco sappiamo della sua giovinezza: è certo che, libero da preoccupazioni economiche e vellicato da una certa boria aristocratica che non l'avrebbe abbandonato neppure negli anni della maturità, non volle né dovette mai impegnarsi in altre attività che non fossero gli studi letterari e araldici nonché all'intensa partecipazione nella vita delle due principali Accademie senesi del tempo: quella degli Intronati, (chiusa fin dal 1568, come tutti gli analoghi sodalizi cittadini e riaperta finalmente il 14 dicembre 1603), dove, subito, ne entra a far parte con l'appellativo di Schietto Intronato, provenendo da quella de gli Accesi. Di entrambe egli fu uno tra gli esponenti più autorevoli e ascoltati. La sua vita non fu contrassegnata da episodi rilevanti né da accadimenti che ne alterassero bruscamente il corso; quasi a dare concreta testimonianza del suo attaccamento alla patria (un attaccamento ch'è facilmente riconoscibile nelle sue opere letterarie), non s'allontanò mai da Siena, se non per brevi viaggi. Ma in patria spesso rifiutò occasionali ulteriori incarichi civili, forse in ottemperanza a un capitolo della Accademia degli Intronati, che proibiva ai soci l'attività politica non generando un carattere ed una costituzione robusta. Specie in gioventù fu costretto a passare periodi più o meno lunghi ai Bagni di Lucca e in certe sue tenute in campagna, per curarsi; e della forzata lontananza da Siena si lagnava spesso nelle lettere agli amici. Nella piena maturità e nella vecchiaia ebbe miglior salute e maggior carattere, quando, nonostante la morte precoce dei fratelli (a cui era molto legato e di cui curava gl'interessi durante le loro assenze da Siena), fu rallegrato dai quattro figliuoli datigli da Violante Savini. Pure, ancora in una lettera del 1604 al Bulgarini (ms. D VII io, della Biblioteca Comunale di Siena, e. 155), ritornano gli accenti pessimistici tante volte espressi: « Appresso all'usitate noiose cure che non si rimangon quasi mai di tener compagnia allo 'nquieto animo mio, s'è aggiorna in questi ultimi di la cura propria per cagion de" difetti e della debilezza del corpo ». La fama del Bargagli, prima del Turamino, fu soprattutto assicurata dalla sua opera sulle Imprese Araldiche. In questo campo poteva davvero considerarsi «l'Aristotile», secondo quanto scrisse l'Ugurgieri-Azzolini: ideò imprese per personaggi d'alto affare, come quella di Enrico IV, in occasione delle sue nozze con Maria de' Medici, oppure l’impresa personale del Granduca Ferdinando I de’ Medici, (quella del re delle api in mezzo al suo sciame col motto Maiestate Tantum, mirabilmente presente nel suo monumento equestre, modellato dal Gianbologna e portato a termine dal Pietro Tacca, posto al centro della piazza della Santissima Annunziata a Firenze). A lui si rivolsero, inoltre, l'Accademia lucchese degli Oscuri e quella genovese degli Accordati per la scelta di un'insegna. Era assai sensibile alle onorificenze ufficiali, che non gli mancarono: fu molto gradita l'iscrizione all'Accademia di Venezia, sin dall'anno della sua fondazione, 1593, e, molto di più, la nomina concessagli con augusto diploma, il 2 novembre 1596 da Rodolfo II d’Absburgo. Divenendo capitano del popolo, infatti, conquistò l'ammirazione dell'imperatore Rodolfo II per la sua eterna devozione alla casa imperiale. Venne, quindi, nominato da questi Cavaliere di Corte, (Cavaliere Cesareo), con autorizzazione ad ornare lo stemma nobiliare dei Bargagli con l'aquila bicipite. Da quel momento, infatti, lo stemma avito con le quindici rose, che era già stato semplificato con uno che ne presentava solo nove, muterà definitivamente in uno “di rosso alla fascia d’argento caricata da due rose del campo ed accompagnata da quattro rose d’argento, tre in capo ed una in punta; col capo dello stesso caricato dell’aquila bicipite spiegata di nero ed accompagnata in capo da tre rose di rosso”. Sempre per concessione imperiale, il Bargagli ebbe la possibilità di portare un cimiero arricchito da una corona d’alloro, per i meriti letterari, e dall’aquila imperiale. Il tutto corredato dal motto “SEMPER SUAVES” riferito, come ci ricorda il Gelli: alle rose della famiglia, simbolo delle virtù avite, bianche o vermiglie che fossero, emanavano sempre profumo soave. Le non molte lettere che di lui ci rimangono, (quasi tutte manoscritte e presenti nella Biblioteca Comunale di Siena), consentono di ricostruire, almeno in parte, la trama dei rapporti ch’egli intessé, non solo coi sodali della scuola senese; (il Bulgarini ed il Politi, in primo luogo), ma anche con corrispondenti occasionali di altre città, (il fiorentino Giacobini, il pesarese Macci, il padovano Pinello), e documentano un vivace ingegno attento ai problemi letterari e linguistici del suo tempo. Negli ultimi anni, dopo la pubblicazione del Turamino, la sua fecondità di scrittore sembra illanguidirsi; non si rallentò, tuttavia, l’attività svolta come socio delle predilette Accademie. Mori il 27 Ottobre 1612 e fu sepolto nella cappella di famiglia di Santo Agostino, intitolata alla Santissima Trinità, eretta per il lascito testamentario del fratello Celso e da Scipione stesso, in seguito, fatta abbellire.
Al diritto si consacrò invece quasi completamente Celso Bargagli, il terzo fratello, (1543-1593), accademico degli Accesi ed insegnante di Diritto Civile nello Studio di Macerata che per riconoscenza della sua valentia gli donò il patriziato e che insegnò, successivamente, nella stessa Siena, acquistando una certa rinomanza e lasciando alle pubbliche stampe, sula falsa riga dei fratelli, un erudito trattato giuridico: il De Dolo.
Scarsissime sono, invece, come abbiamo detto, le informazioni su Claudio Bargagli, morto nel 1596, che viene menzionato sporadicamente nelle lettere, dei primi tre fratelli, come restio a partecipare alle spese comuni per le liti giudiziarie che afflissero per lungo tempo i Bargagli e che per questo fu punito da Celso nel suo testamento.
Fin da quei tempi, per motivi originati soprattutto da una logica conservazione patrimoniale, accadeva, infatti, che molti figli maschi non primogeniti venissero invitati a prendere voti religiosi, oppure, nei casi più frequenti, ad essere esiliati lontano da Siena, perché fatti passare per insani di mente e quindi disonorevoli per la rispettabilità della famiglia. I confinati, così dimenticati dai parenti senesi, iniziavano una nuova vita, avendo come unica eredità solo il proprio, singolare, cognome.
La natura un po’ eclettica e sregolata sembra abbia sempre caratterizzato questa famiglia.
Nella fine dell’ottocento, un carrettiere amiatino, Davide Lazzaretti, (1834-1878), mistico e agitatore, predicava il totale rinnovamento religioso e sociale fra i contadini, i pastori ed i minatori della sua terra. Era il capo della chiesa dei Giurisdavidici - la milizia dello Spirito Santo - sorta sul Monte Labbro - nel Monte Amiata - e originata da una tradizione ereticale a sfondo agrario finalizzata da un’imminente realizzazione del regno di Dio. Molti adepti erano Bargagli del posto e non legati, tra loro, da vincoli diretti di parentela. L’opera predicatrice del Lazzaretti, reduce da un fruttuoso e, per alcuni aspetti, inusuale soggiorno in Francia, fu interrotta da un colpo di arma da fuoco di uno dei carabinieri mandati a presidiare una processione illegale dei Giurisdavidici fatta nel 1878 ad Arcidosso. L’asceta si rivolse al sottufficiale in tono deciso affermando di esser la seconda reincarnazione di Gesù Cristo.
Ritornando a Siena, sia i Medici che i Lorena ebbero cura di mantenere, anche se in modo molto apparentemente, una certa indipendenza amministrativa della vecchia ed indomita Repubblica. I discendenti di Celso Bargagli, figlio dello Scipione, Cavaliere Cesareo, furono, infatti, annoverati fra i Capitani del popolo. Ci furono, inoltre, chi come Domenico di Girolamo Bargagli fu paggio dell’Arciduchessa Violante Beatrice di Baviera, Governatrice di Siena, che, successivamente, ebbe il cavalierato di Santo Stefano ed in Spagna entrò nella guardia italiana di Filippo V, partecipando alle guerre di Savoia e di Lombardia, (1745-1746). Sopravvissuto a queste, raccolse onori meritati, restando sempre al servizio della corona spagnola. Carlo III lo nominò, infatti, aio dell’Infante don Antonio e suo Maresciallo di campo.
Agostino di Girolamo Bargagli, fratello del precedente, fu cavaliere di Malta ed in seguito ricoprì la carica di Segretario per la Lingua d’Italia del Gran Maestro Pinto de Fonseca.
Giuseppe di Girolamo Bargagli, il terzo fratello, fu l’unico che ebbe prole e discendenza.
Nel frattempo, infatti, i Bargagli si imparentarono, per tante ragioni, con ricche e quotate famiglie come quella senese dei Placidi. Pier Luigi di Giuseppe Bargagli sposando Caterina Placidi ebbe riconosciuto nel 1887 un titolo di marchese, trasmissibile ai soli discendenti primogeniti.
Tra i rami cadetti più noti vi è la consorteria dei Bargagli con i Petrucci. Questi ultimi annoverano, per acquisizione di adozione d’onore, non di consanguineità, il famoso capopopolo Pandolfo, detto il Magnifico, Signore di Siena nel 1499 anche perché imparentato, attraverso il fratello Gasparo, con la potente famiglia dei Farnese.
I Bargagli-Petrucci originano da un Celso Domenico di Giuseppe di Girolamo Bargagli che tra il 1799 ed il 1804 fu voluto erede del patrimonio e del nome dell’Arcidiacono Giuseppe Petrucci, ultimo di questa famiglia. Si onorano, maggiormente, e a buona ragione, di aver avuto in famiglia il rimpianto professor Fabio Bargagli-Petrucci, (1875-1939), primo Podestà di Siena, uomo coscienzioso ed illuminato, (1926-1936), nonché valente cultore e insegnante della storia dell’arte. I Bargagli-Petrucci portarono, fin da subito, lo stesso stemma nobiliare dei Bargagli con le tradizionali rose ghibelline e con l’aquila imperiale di Rodolfo II, partito con quello ereditato dell’Arcidiacono Petrucci.
Altri Bargagli, infine, arricchirono la storia araldica toscana recente attraverso un matrimonio concluso tra un Antonio di Celso Bargagli e Luisa, ultima discendente della famiglia modenese degli Stoffi. Nacque, così, un nuovo ramo e, quindi, la consorteria dei Bargagli-Stoffi, decretata ufficialmente a partire dal 26 giugno 1906.
Quando nel 1325 Siena volle erigere la grande torre ormai conosciuta come la Torre del Mangia - a ricordo del primo campanaro, Giovanni di Balduccio, che l’ebbe in custodia e che fu meglio conosciuto, per i suoi indicibili sperperi, come Mangiaguadagni - nel cavo della prima pietra furono poste le testimonianze di tutti i gruppi foresti residenti a Siena e che alla libertà comunale avevano contribuito.
Così le fondamenta della caratteristica torre conservano lettere della comunità greca, altrettanto di quella ebraica che a quei tempi era molto numerosa, scritti in latino dalla rappresentanza cristiana cittadina e, seguendo l’antica tradizione del Bargaglio, alcune monete poste dai bargaglini ormai affermatisi come comunità attiva a Siena.
Ma dalla Garfagnana all’Amiata, da Viareggio a Firenze, la storia di quei di Bargagli non è solo segnata da una meritata e riconosciuta nobiltà, dovuta ad alcuni fatti d’arme ma, soprattutto, di potere economico o valenza di studi.
Sono centinaia, nel corso dei secoli, i telai su cui si tessevano panni diretti da i Bargagli; centinaia di fazzoletti di terra nella quale affondavano la zappa oppure il bidente i Foresti del Bargaglio. Altrettanto le svariate attività che, lungo le odierne strade, si possono citare e che portano, non solo negli stemmi, ma nelle pur semplici insegne commerciali il nome dei Bargagli.
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